Il viaggio

Mi sembra ieri quando, baciata la mamma e fatto incetta di mille raccomandazioni, mi avviai verso l'auto di Andrea, il mio carissimo amico che fu più puntuale del solito quel giorno, anche se a partire alla fine ero io. L'auto di Andrea sembrava un rettangolo di lamiera che si muoveva pesantemente e goffamente tra le curvilinee ed eleganti vetture di città, come Gina, la ragazza inglese che sarebbe venuta a prendermi all'aeroporto di Londra qualche ora dopo; mi venne incontro col suo passo goffo e la sua figura corpulenta, distinta dal gruppo di amiche fabbricate in serie da palestre di fitness. Gina era affidabile come l'auto di Andrea, non ti avrebbe tradito se ti fossi preso cura di lei.
Andrea mi lasciò senza troppe formalità, mi diede una pacca sulla spalla e si lasciò andare in un augurio da ragazzo con sogni di evasione. Ricambiai il saluto con una serie di promesse di circostanza e con un invito da ragazzo con i piedi per terra.
Era la prima volta che prendevo l'aereo ma non mi sembrava, forse perché in un sogno o in qualche film visto in TV avevo già provato quella emozione, o forse perché l'emozione vera non era il viaggio ma le abitudini con cui mi sarei presto confrontato, con la cultura e le sue forme espressive, con gente che percepivo istintivamente diversa e per questo interessante.

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